Breve introduzione al mito di Apollo e Dafne
Del mito di Apollo e Dafne, come spesso accade nei miti, esistono differenti versioni. Noi qui seguiremo principalmente il racconto narrato da Ovidio nelle sue Metamorfosi (libro I). Tuttavia, per avere una visione più completa della storia dei nostri due protagonisti, inseriremo nella narrazione anche un ulteriore episodio che avrà come coprotagonista il principe Leucippo.
Partiamo dunque subito col racconto del mito di Apollo e Dafne e poi passeremo alle curiosità e alle riflessioni che questa storia ci regala.
La storia di Apollo e Dafne
Apollo e Cupido: un incontro fatale
Un giorno Cupido, il capriccioso dio dell’amore, era tutto intento a lucidare il suo arco dorato, quando d’un tratto arrivò il favoloso Apollo, dio del Sole, tutto orgoglioso per aver appena ucciso Pitone, un tremendo drago che terrorizzava le ninfe e devastava i raccolti.
Il bellissimo Apollo, figlio di Zeus, con un sorriso beffardo e un’aria saccente, si rivolse a Cupido:
“Ragazzino, cosa combini con arco e frecce? Questi non sono giochi, bensì armi degne di forti come sono io. Tu accontentati di attizzare amori da poco con la tua fiaccola e lascia usare le armi a chi ne è all’altezza.”
A queste parole il dio dell’amore, figlio di Venere, rispose offeso:
“Bada bene o divino Apollo, che le mie frecce sono più potenti delle tue perché io posso trafiggere anche gli dei.”
E così dicendo Cupido, colmo di rabbia, volò via fendendo l’aria col battito delle ali.
La vendetta di Cupido
Il dispettoso Cupido, giunto sulle sponde del dio fiume Peneo, trasse dalla faretra due frecce dotate di poteri opposti: una era di piombo e metteva in fuga dall’amore, mentre l’altra era d’oro e suscitava l’amore.
Con la prima trafisse la figlia del fiume sacro, la bellissima ninfa Dafne.
Con la freccia d’oro invece colpì Apollo trapassandogli le ossa fino al midollo.
Così il divino Apollo fu immediatamente preso d’amore per la meravigliosa ninfa, mentre Dafne dell’amore non voleva nemmeno sentir parlare.
La ninfa Dafne e la sua libertà
La ninfa, anziché occuparsi d’amore, passava il tempo a cacciare tra i boschi con Artemide, la dea vergine della caccia che di Apollo era gemella.
E così come Artemide ottenne dal padre Zeus il privilegio di non doversi sposare, Dafne chiese al fiume sacro Peneo, suo padre, uguale dono. Il padre acconsentì al desiderio della figlia, ma la sua bellezza invece vi si oppose.
Il travestimento di Leucippo
Dafne era talmente bella che molti, mortali e dei, si innamoravano di lei.
Tra questi disgraziati vi era il principe Leucippo, figlio del re di Elide Enomao, che per avvicinarsi alla sfuggente ninfa aveva escogitato l’espediente di travestirsi da donna.
Lo scaltro giovane riuscì così a mischiarsi indisturbato alle compagne di caccia di Dafne e l’avvenente fanciulla strinse con lui un legame d’affetto.
Ma Apollo, in preda alla gelosia, generò col sole una tale calura da ispirare a Dafne e alle compagne il desiderio di bagnarsi nude in una sorgente. Leucippo esitava, ma le compagne lo costrinsero a spogliarsi e, scoperto l’intruso, lo trafissero impietose con le loro lance.
La speranza per un amore privo di speranza
Apollo, alla vista della sua innamorata, arde tutto d’amore. La fiamma divampa nel suo petto nutrendo di speranza un amore che speranza non può avere.
Il bel dio contempla la ninfa, i capelli scomposti sul candido collo, gli occhi scintillanti come stelle, ammira le dita, le mani e le braccia nude e immagina ancor più bello ciò che era coperto, guarda la piccola bocca, ma guardarla non gli basta.
Ella, accortasi del giovane, fugge veloce come il soffio del vento e non s’arresta alla voce di lui che così la supplica:
“Ti prego fermati o ninfa, non ti insegue un nemico. Tu mi fuggi come le colombe con trepide ali si sottraggono all’aquila, io ti seguo per amore. Non voglio che per fuggirmi tu inciampi e cada. Ti prego rallenta la tua fuga e io ti inseguirò più piano, non voglio che i rovi graffino le tue gambe. Ch’io non sia causa del tuo male! Ma cedi almeno alla curiosità di sapere chi sono. Zeus è mio padre, sono Apollo dio del sole e delle delle belle arti, io svelo il futuro, il passato e il presente. La mia freccia è infallibile, ma ancor più lo è quella che mi ha trafitto il petto. L’arte della medicina è una mia scoperta, ma ahimè non c’è medicina che curi l’amore.”
La fuga di Dafne
Mentre il dio innamorato tenta di parlare ancora, la ninfa impaurita continua a fuggire. La corsa ne aumenta la bellezza: il soffio dei venti contro le vesti ne scoprono il corpo e la brezza leggera ne muove i capelli.
Ma il giovane dio non sopportando più di sprecare la sua tenerezza, perde la pazienza e, come un cane con la sua preda, con uno slancio prende a seguirla più velocemente. E lei come una lepre inseguita scatta in avanti per salvarsi. Lui un fulmine per la voglia di averla, lei per il timore.
Dafne invoca l’aiuto del padre
Quando lui è ormai sul punto di afferrarla, lei sfinita dalla fuga invoca il sacro fiume implorando: “Aiutami o padre, trasforma questa bellezza che è causa della mia rovina!”
Appena finito di pronunciare queste parole, sente i piedi prima veloci mutarsi in pigre radici, le membra invase da un pesante torpore, il morbido petto fasciato da una corteccia sottile, i capelli si allungano in fronde, le braccia divengono rami e le dita foglie, e il volto la cima dell’albero, un albero di alloro. Solo il suo splendore le resta.
Ma anche così Apollo continua ad amarla e ponendo la mano sul tronco sente battere ancora il cuore sotto la fresca corteccia. Stringendo fra le sue braccia i rami come fossero membra, copre di baci la pianta come se fosse l’amata, ma la pianta da quei baci ancora si sottrae.
Allora il dio così le parlò:
“ Se non puoi essere mia moglie, amata Dafne, ebbene, sarai la mia pianta. Sempre saranno inghirlandate di te, o alloro, la mia chioma, la mia cetra e la mia faretra. E come la mia chioma resta giovane in eterno, anche tu porterai in perpetuo il decoro delle tue fronde.”
Quando Apollo tacque l’alloro annuì con i giovani rami e agitò la cima come a dir sì col capo.
E da quel giorno il divino Apollo adorna con corone d’alloro le tempie degli eroi e dei poeti.
Curiosità sul mito di Apollo e Dafne
Cupido colpito dalle proprie frecce
Abbiamo visto qui un episodio in cui il piccolo Cupido utilizza le sue frecce dorate, le frecce che inducono l’amore, sul dio Apollo.
Qualche tempo dopo Cupido, un pò cresciuto, si pungerà a sua volta inavvertitamente con una delle sue frecce dorate vedendo la bellissima Psiche e ne nascerà una storia struggente e appassionante. Sul mito di Amore e Psiche abbiamo dedicato un articolo che ti invito a goderti cliccando direttamente qui. e puoi anche gustarti il video cliccando qua.
Puoi goderti un’altra rappresentazione della coppia Venere – Cupido nell’articolo dedicato a I personaggi della Primavera di Botticelli.
Il mito di Apollo e Dafne vive nel marmo di Bernini
Gian Lorenzo Bernini rende vivo il mito di Apollo e Dafne con un gruppo scolpito tra il 1621 e il 1625.
L’artista immortala il momento più drammatico della storia, quello della metamorfosi.
Vediamo una statua ma è come se vedessimo una scena in movimento e quasi riusciamo a vedere i due personaggi lanciati in una corsa sfrenata e a udire Dafne che invoca l’aiuto del padre.
Il marmo diventa carne viva, foglie che fremono al vento, voce implorante, desiderio ardente.
L’opera è talmente erotica che creò quasi un “incidente diplomatico” per Bernini. Era stata infatti commissionata per la villa di un prelato, il cardinale Scipione Borghese, e qualcuno fece notare che sarebbe stata indecorosa per la straordinaria sensualità. Per dare un senso morale all’opera si aggiunsero dunque sul piedistallo i seguenti versi latini:
“Quisquis amans sequitur fugitivae gaudia formae fronde manus implet baccas seu carpit amaras.”
“Chiunque, come amante, segue le fugaci gioie del piacere si ritrova con la mano piena di foglie e bacche amare.”
Il mito di Apollo e Dafne, l’alloro e la laurea
Il mito di Apollo e Dafne termina con l’immagine della corona d’alloro come simbolo di gloria e di ispirazione poetica.
A tutti è nota l’immagine del nostro più grande poeta, Dante, che “indossa” con espressione accigliata la corona di alloro. Ovviamente l’Alighieri non se ne andava certo in giro col fogliame in testa, ma l’immagine ha il significato del riconoscimento della gloria del poeta.
Dafne in greco significa “alloro” (δάϕνη) ed è proprio il nome di questa pianta profumata che è all’origine della parola “laurea” (corona di alloro). Infatti tutt’ora usiamo cingere con una corona d’alloro il capo di coloro che celebrano la conclusione del percorso universitario.
Il video sul mito di Apollo e Dafne
Se vuoi goderti la narrazione del mito di Apollo e Dafne avvolto dalla musica di Debussy e Saint-Saëns gustando anche opere d’arte che questa storia ha ispirato nei secoli, ti invito a vedere il video sul canale YouTube di Libriazonzo che trovi qua sotto.
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